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Eco-ansia: la salute mentale risente dei cambiamenti climatici.

Nelle situazioni di non urgenza personale è importante comprendere, conoscere ed imparare ad accettare i vissuti magari sgradevoli ma consoni al momento storico che stiamo vivendo.

Navigando in rete è ormai impossibile non imbattersi in contenuti che riguardano il cambiamento climatico: profili che sensibilizzano agli #ecologesti, la lotta dei Fridays for Future (che ormai non sono più ricondotti esclusivamente a Greta Thunberg ma hanno conquistato una loro vita autonoma), le scelte delle grandi aziende, la green economy... Questo movimento di attenzione e di presa di posizione rispetto al cambiamento climatico è portato avanti da esseri umani che inevitabilmente mettono in gioco anche la componente di fragilità che li contraddistingue, portandoci al tema dell’articolo: l’eco-ansia. Questo concetto è stato formalizzato in un articolo del 2011 che indagava le ripercussioni dei cambiamenti climatici sulla salute mentale dell’essere umano. Nel 2017 è stato poi ripreso e legittimato dagli esperti del settore: l’American Psychological Association (APA).

Ma cos’è l’eco-ansia?

Si può rispondere in maniera semplice a questa domanda: è l’ansia che le persone provano rispetto al cambiamento climatico, ai disastri ambientali e alle loro conseguenze per il mondo e per chi lo abita. Il termine eco-ansia, o ansia climatica, viene in generale impiegato per riferirsi ad una condizione di malessere psicofisico e, sebbene non sia ancora inserita nei manuali, viene spesso riscontrata in una fetta sempre maggiore della popolazione. L’APA definisce l’ansia climatica come “una paura cronica della rovina ambientale […] che sta erodendo la salute mentale su larga scala”.

L’eco-ansia non è quindi una malattia mentale, è anzi possibile intenderla come una reazione normale alla condizione di pericolo che stiamo vivendo. Potremmo anzi pensare che l’assenza totale di questo segnale ansioso sia da considerarsi inadeguata! È bene però tenere presente che non va banalizzata e che in alcune persone può assumere forme più disturbanti.

Può essere utile specificare la differenza fra ansia e paura: se la paura è una risposta emotiva ad una minaccia reale ed imminente, l’ansia è una risposta psicofisiologica persistente rispetto ad una minaccia futura (reale o immaginaria). Essendo l’ansia ‘radicata’ nel futuro talvolta porta ad anticipare scenari catastrofici scontandone le conseguenze nel ‘presente’.

L’eco-ansia quindi è particolarmente complessa poiché si colloca in una singolare posizione intermedia: la componente di minaccia è sia presente che futura contemporaneamente. Il pericolo è percepito da alcuni come reale e da altri meno, comportando un senso di smarrimento e di incapacità nel coordinare un’azione comune e compatta su larga scala.

Le osservazioni condotte in questi anni rispetto all’ansia climatica hanno permesso di notare come nelle persone che ne soffrono siano presenti, o comunque tendano in alcuni casi ad insorgere nel tempo, sintomatologie riconducibili alla sfera del disturbo post-traumatico da stress, degli attacchi di panico e della depressione. Questa evoluzione in un quadro sindromico più grave permette di dare credibilità e valore ad un tipo di sofferenza che rischia, sotto forma di eco-ansia, di non essere opportunamente riconosciuta.

Chi soffre di eco ansia?

Ci sono diversi studi, alcuni recentissimi, che stanno constatando come questa forma d’ansia inizialmente ricondotta alle sole fasce più giovani di popolazione (la generazione Z per intenderci) riguardi in realtà anche le generazioni precedenti. Proprio nel febbraio di quest’anno, l’APA ha portato avanti uno studio che titola così: “La maggior parte degli adulti statunitensi [18-34 anni] ritiene che il cambiamento climatico sia la questione più importante”.

Potremmo quindi riassumere brevemente che di ansia climatica soffrono gli adolescenti ed i giovani adulti. Rispetto a questo dato l’altra considerazione che sorge spontanea riguarda la delicatezza della fase di vita in cui la persona si trova. Negli adolescenti la personalità è in fase di sviluppo e l’insorgere di un disagio, come l’ansia climatica, comporta delle ripercussioni che non possono essere ignorate: la costruzione di una visione progettuale di sé trova un forte ostacolo davanti agli scenari che il cambiamento climatico implica, così l’identità in formazione si struttura scontrandosi con un angoscioso conto alla rovescia.

Come si cura l’eco ansia?

Non esiste una risposta semplice. Una domanda che mi è stata posta è: ‘ma è utile curare l’eco ansia? Non è un bene che sia presente nelle persone così da sensibilizzarle al tema del cambiamento climatico?’. Penso che il perdurare dell’eco-ansia sia una forma di disagio psico-fisico che protrae uno stato di allerta consumando le energie dell’organismo e come tale richiede di essere trattata soprattutto nei casi in cui insorge con una certa gravità.

Bisogna però considerare che l’attivazione ansiosa è una risposta adattiva dell’organismo, si parla infatti di ansia reattiva, che può in alcuni casi evolvere in forme di malessere e strutturarsi in un disturbo. È importante tenere bene a mente che non esiste una risposta univoca. L’eco-ansia per alcuni è motivante mentre per altre persone può essere frustrante e ci si arriva a domandare se sia l’ansia ad alimentare l’inerzia o se invece sia vero il contrario.

L’APA nel 2017 ha stilato una lista di “raccomandazioni” relative all’intervento sull’ansia climatica  differenziando i target in singolo, comunità e professionisti della salute mentale. Fra le indicazioni spiccano: ottimismo, incremento della resilienza, maggiore socialità, la creazione di centri dedicati alla salute mentale, una formazione specialistica ed aggiornata per i professionisti.

Ciò che io credo sia fondamentale quando pensiamo a come “curare” (e lo metto fra virgolette di proposito) l’eco-ansia è sensibilizzare alla tematica ambientale, legittimare la sofferenza che può scaturirne e scegliere di poter chiedere aiuto quando la preoccupazione diventa fonte di malessere.

L’eco ansia è subdola poiché l’oggetto dell’ansia è qualcosa di reale ma spesso non tangibile e non riconosciuto integralmente dal contesto sociale. Quando poi insorgono anche altre espressioni di disagio come attacchi di panico, inappetenza, insonnia, pensieri autolesivi o suicidari la situazione è ancora più articolata e richiede un intervento più urgente.

In rete si dibatte su quanto sia utile, per ‘curare’ l’eco-ansia, fare attivismo. La maggior parte sostiene che questa sia la strada da intraprendere ma ritengo che sia necessario fare molta attenzione a non cedere a facili semplificazioni. Sarebbe opportuno chiedersi che significato riveste per la persona il suo impegno, quale senso dona a quell’esperienza ed il fine del suo modo di fare attivismo.

Ad esempio, il locus of control (cioè la percezione che gli individui hanno rispetto al controllo che sentono di avere sugli eventi) può essere interno o esterno e dare caratterizzazioni opposte allo stesso comportamento di impegno attivo. Coloro che hanno un locus of control interno ritengono che le condizioni ambientali dipendano pienamente dalla loro responsabilità mentre coloro che hanno un locus of control esterno sono più propensi ad abbracciare una visione fatalista dove l’attivismo diventa necessario ma sempre insufficiente. Le reazioni ansiose nel primo caso e depressive nell’altro, con sfumature di autocolpevolizzazione, sono facilmente intuibili.

L’attivismo non può essere la panacea per tutti i mali, potrebbe anzi comportare per alcuni una sorta di “circolo vizioso” pericoloso in grado di alimentare malessere. D’altra parte riuscire a far fronte comune rispetto al problema del cambiamento climatico è utile per la collettività e l’eco-ansia può essere in questo senso un facilitatore.

Non si può prescindere quindi, approcciandosi ad un percorso per guardare in faccia la propria eco-ansia e provare ad affrontarla, dall’approfondire le caratteristiche temperamentali ed i significati che ognuno si porta dentro ed utilizza come lenti per leggere il mondo. L’eco-ansia non è formata solo da ansia ma da sfumature più articolate e possiamo vederla anche come una reazione dell’individuo davanti alla non azione della società.

Nelle situazioni di non urgenza personale è importante comprendere, conoscere ed imparare ad accettare i vissuti magari sgradevoli ma consoni al momento storico che stiamo vivendo.

 Dott.ssa Anna Maria Zamponi

  • Albrecht, G. (2011). Chronic environmental change: Emerging “psychoterratic” syndromes. In I. Weissbecker (Ed.), Climat change and human well-being: Global challenges and opportunities (pp. 43–56). New York, NY: Springer.
  • APA (2017) Mental Health and our changing climate: impacts, implications and guidance.
  • APA (2020) Majority of US Adults Believe Climate Change Is Most Important Issue Today.
  • Usher K. Durkin J. Usher K. (2019) “Eco-anxiety:how thinking about climate change-related enviromental decline is affecting our mental health” Int J Ment Health Nurs. Volume 28, Issue 6
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