
10 insegnamenti del jazz validi per la psicoterapia in 10 brani (SIDE A)
Negli anni ho intravisto diversi parallelismi tra il training del jazzista e la formazione del terapeuta. Ho provato a riordinare le suggestioni in un decalogo che racconta i doni del jazz ben oltre la musica.
Spesso si esortano i bambini a seguire un corso di musica, magari per scongiurare il timore dei genitori di ritrovarsi assordati dagli striduli del flauto mentre i più piccoli torturano l’Inno alla gioia negli anni della scuola media. Intraprendere un simile percorso può rappresentare un’opportunità decisamente arricchente, il cui valore può scorgersi anche a distanza di tempo.
1. Trasformare l’errore in uno stimolo creativo.
Nella musica jazz l’ingrediente essenziale è l’improvvisazione, che giunge puntuale dopo l’esposizione del tema del brano. Improvvisare vuol dire aprirsi all’imprevedibile, affacciarsi al possibile, lasciare spazio persino all’errore. Proprio l’errore diventa parte integrante dell’esecuzione, un’occasione inattesa per intraprendere una strada inesplorata, un nuovo punto di partenza per generare linee melodiche dalle sonorità impreviste. Uno dei più noti escamotage dei musicisti jazz, nel momento in cui capita l’errore, è quello di giocare col suono incriminato ripetendolo ma intenzionalmente: è la stessa nota ma suona in modo decisamente diverso, assume un senso. In terapia non è forse più prezioso imparare a gestire creativamente l’errore piuttosto che impegnarsi ad evitarlo? E poi, come disse Miles Davis: "la nota giusta è sempre quella più vicina alla nota sbagliata".
L'errore che valse due Grammy ad Ella Fitzgerald
2. Vivere in armonia regole e libertà.
Chi studia jazz sa bene quanto sia essenziale apprendere ed interiorizzare schemi e strutture prima di poterle impiegare in modo creativo. Si conquista la libertà nell’improvvisazione solo dopo aver ripercorso innumerevoli volte scale di ogni sorta e scandagliato tutte le sonorità dell’armonia. In adolescenza diventa un esempio di integrazione potentissimo! Il buon improvvisatore padroneggia le regole e i pattern per potersi concedere di stravolgerli, di danzare su quelli con leggiadria. Non dovrebbe, forse, essere questo l’atteggiamento del terapeuta nei confronti delle tecniche e dei protocolli? La struttura del brano non è la meta ma il mezzo attraverso il quale coltivare l’improvvisazione.
Mingus, il compositore che gioca con le regole
3. Portare attenzione all'implicito della relazione.
Ci sono formazioni che restano nella storia e la firma del successo, nel jazz, non è legata ai brani - standard comuni appunto - bensì al tipo di energia che circola nella formazione mentre si esibisce. Nel gergo si parla di "interplay" per riferirsi alla qualità dello scambio tra i musicisti, al modo in cui si lasciano permeare dalle reciproche influenze durante l’improvvisazione.
L’interplay si genera nello scambio ed in esso vive, permea la musica donandole una qualità particolare; è un esempio tangibile di cosa voglia dire 'co-costruire'. Il concetto di interplay potrebbe entrare di diritto in terapia, come lente attraverso cui guardare alle modalità di interscambio nella coppia terapeuta-paziente, alla disponibilità ad accogliere o resistere all'influenza musicale dell'altro.
Bill Evans e Scott LaFaro, esempio straordinario di interplay
4. Disponibile a cambiare direzione, momento dopo momento.
Far pace con il timore dell’ignoto, scrutarlo con curiosità, diventa necessario nel jazz per recuperare la lucidità essenziale all’improvvisazione. Non si conosce mai in anticipo la nota che sta per essere suonata, questo rende uguali nel momento dell’esibizione la condizione di chi suona e di chi ascolta. Le coppie musicista-spettatore e paziente-terapeuta diventano compagni di un viaggio da affrontare insieme, esponendosi all’incognita del percorso con fiducia e speranza. Questa disponibilità a condividere l’incertezza diventa un’occasione unica da sperimentare, intimamente potente, al punto da permeare l’esperienza d’ascolto, musicale quanto terapeutico. Coltivare la fiducia nel costruirsi dell’esperienza consente all’intuizione di emergere. Non è forse la psicoterapia un intreccio tra corpi, voci e ritmo che si costruisce mentre si è in scena?
Corpo, voce, ritmo e si parte: Bobby McFerrin
5. Amare le dissonanze.
Talvolta colpisce nella musica jazz la presenza di dissonanze sparse, sonorità che sembrano stridere col carattere melodioso della musica. L’ascoltatore strizza appena gli occhi, assume un’espressione interdetta mentre resta in attesa di un ritorno a casa, nella zona di maggior comfort. Le dissonanze nel jazz sono camminate funamboliche in bilico tra il suono ed il rumore, giocano con l’attesa di una risoluzione, insegnando a vacillare con prudenza e ad attendere con pazienza. La musica modale, sdoganata con un album di una bellezza sconfinata come Kind of Blue, ha permesso di riconcettualizzare la sonorità slegandola dalla singola nota e riconducendola al significato che assume nella relazione con le altre note, mostrandosi quindi accogliente con le dissonanze. Si tratta di un approccio direi 'interpersonale' alla musica.
Dissonanze protagoniste nel free jazz inaugurato da Ornette Coleman
To be continued...
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