
Spacciatori di rabbia
Perché è nocivo 'cavalcare la rabbia' e 'parlare alla pancia' del popolo?
"Cavalcare la rabbia", "parlare alla pancia del Paese" sono espressioni ricorrenti nel giornalismo politico che assumono un connotato dispregiativo per riferirsi ad uno stile comunicativo, generalmente 'sovranista', che punta a galvanizzare le folle raccogliendo facili consensi. La tentazione di inserire 'rabbia' e 'pancia' (da intendersi non come accumulo di adipe ma come dimensione del sentire) nell’elenco delle parolacce è forte, creando non pochi disagi agli psicologi.
In effetti da psicologo mi ritrovo spesso, in studio, ad invitare la persona che ho di fronte a mettersi in contatto con la sua pancia, a porsi in ascolto della rabbia cogliendone la funzione ed il senso, valorizzandola! Apparentemente sembra quindi esserci spazio per un clamoroso misunderstanding, in realtà mi trovo perfettamente d’accordo con chi sostiene che ad alimentare rabbia e a parlare alla pancia si commette una truffa ai danni dell’elettore. Provo a spiegarmi meglio…
Partiamo dal presupposto che la rabbia è una delle emozioni primarie, il pacchetto office di base preinstallato che l’evoluzionismo ci dona, un prodotto millenario utile per attivarci nel rimuovere un ostacolo che si frappone tra noi e i nostri obiettivi. La rabbia mobilita energia, ci rende motivati, pronti, carichi ed è un potente innesco ad agire. In fondo ci sentiamo fighi quando siamo incazzati.
Vedere qualcuno che si mostra arrabbiato come noi, per le nostre stesse ragioni, lo rende subito un alleato apprezzabile, ci appare disposto a proteggere i nostri interessi con una determinazione proporzionale ai decibel raggiunti con le sue urla. La magia (nera) che si sprigiona in questi comizi porta a vedere nel leader non tanto qualcuno con cui identificarsi – implicherebbe una richiesta di cambiamento che suona poco cortese per alcuni elettori – ma qualcuno che invece si identifica con i sostenitori, facendoli sentire a loro volta i veri leader. Un gioco di prestigio, reso possibile da quella rabbia che offusca e distrae rendendo ciechi al trucco. Ecco perché è deplorevole che chi occupa posizioni di comando punti a cavalcarla, perché vorrebbe dire drogare il popolo con sostanze eccitanti per alterarne lo stato di coscienza e diminuirne la vigilanza. Mi ricorda per certi versi l’atteggiamento di quei genitori separati che per portare il figlio dalla loro parte lo fomentano con commenti al vetriolo sul partner, alimentando nel piccolo una rabbia malsana affine all’odio che è frutto del plagio (si tratta di 'alienazione parentale').
Ricordo, non senza una certa nostalgia, quando una prof del liceo all'approssimarsi delle autogestioni autunnali, puntuali come una ricorrenza segnata in rosso sul calendario, ci ripeteva: 'ragazzi, mostrate di saper passare dalla fase della protesta a quella della proposta'. La rabbia non è energia da sfogare, non sono braccia e gambe che si abbandonano a stereotipie vane, non è un rigurgito della coscienza. Porre la rabbia al servizio della consapevolezza vuol dire incanalare quell’energia, darle una direzione, coordinare un’azione che sia finalizzata. Altrimenti è solo doping al servizio del piacere estemporaneo, null’altro. Anche a questo serve porsi in ascolto della pancia, ben diverso dallo stordirla parlandole sopra. Cavalcare la rabbia diventa disfunzionale perché non basta a passare alla fase della proposta, scalda i motori senza uno scopo. E allora, ecco l’altro trucco, si fa credere che andare 'contro' rappresenti già una proposta, quando le vere soluzioni nascono nel momento in cui si decide di andare 'verso' (regola aurea nel cambiamento personale quanto in quello politico). Chi si propone per governare è più importante che sappia domare gli incendi piuttosto che appiccarli, rivelandosi altrimenti solo un piromane della democrazia.
Certo la fase della proposta è quella meno divertente, quella in cui ci si impegna, si ragiona, decisamente più noiosa. Nemmeno l’ombra dello sballo della rabbia. Allora scema il consenso, si è impegnati a capire e non c’è più l’ebbrezza della sbornia: c’è da esser vigili. Credo che questa sia la vera sfida da affrontare, ovvero riuscire ad attraversare la fase della proposta trascinati da emozioni quali entusiasmo, euforia, sorpresa, fierezza, curiosità, fiducia...
Perché ci si può divertire pur restando consapevoli (chiedete agli straight edge se mento).
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